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L’impatto della povertà sulla salute mentale: evidenze e raccomandazioni

La relazione tra povertà e salute mentale

Oggi è sempre più riconosciuto che i problemi di salute mentale costituiscono la più grande sfida sanitaria pubblica del nostro tempo e che sono i poveri a sostenere il peso maggiore delle malattie mentali.
La povertà è sia una causa sia una conseguenza dei problemi di salute mentale: la povertà infantile e tra le persone adulte può causare problemi di salute mentale attraverso stress sociali, stigmatizzazione e traumi; allo stesso modo, i problemi di salute mentale possono portare all’impoverimento attraverso la perdita del lavoro o la sottoccupazione, o la frammentazione delle relazioni sociali. Questo circolo vizioso è in realtà ancora più complesso, poiché molte persone con problemi di salute mentale entrano ed escono ciclicamente dalla povertà, vivendo una vita precaria.

Negli ultimi anni, diverse forme di povertà e la loro interazione con la malattia mentale sono state al centro di ricerche (Marbin D et al, 2022), che suggeriscono come la salute mentale di una persona non sia solo e nemmeno principalmente spiegata da fattori di rischio individuali, ma includa processi comunitari e ambientali strettamente correlati che riflettono le differenze sociali ed economiche e aspetti di “giustizia sociale”.

Ecco perché Sir M. Marmot, professore di epidemiologia all’University College di Londra e presidente della commissione sui determinanti sociali della salute dell’OMS, ha parlato di “malattia della povertà” (Marmot, 2016), equiparando la povertà a una malattia cronica, che procura danni diretti alla salute delle persone.

I risultati delle ricerche sono chiari.

Una revisione sistematica del MIT – Massachusetts Institute of Technology e dell’Università di Harvard – Dipartimento di Economia, pubblicata su Science (Ridley et al., 2020) https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3603787 , ha indagato la relazione complessa e multidimensionale tra povertà e disturbi mentali comuni quali ansia e depressione, analizzando e sintetizzando i risultati di vari studi sperimentali, da cui emerge con evidenza una relazione causale bi-direzionale: la malattia mentale riduce le possibilità occupazionali, impattando perciò sul reddito, e gli interventi/trattamenti psicologici aumentano le probabilità di migliorare la propria situazione economica.

Gli autori della revisione sottolineano che difficoltà economiche e disturbi di ansia e depressione possono creare un circolo vizioso: trovarsi in situazioni di difficoltà economica può aumentare la probabilità di soffrire di questi disturbi, e soffrire di ansia e depressione ha ripercussioni sull’ambito lavorativo.

Dalla revisione emergono alcune indicazioni:
a) i programmi e investimenti governativi di contrasto della povertà (sostegno al reddito, assegno di disoccupazione, ecc) riducono i tassi di insorgenza di problemi ansioso-depressivi, migliorando la salute mentale delle persone nel lungo periodo
b) gli interventi di psicoterapia e farmacoterapia per la protezione della salute mentale delle persone che vivono in povertà hanno effetti positivi sull’occupazione e aiutano a combattere lo stigma.

Un altro articolo (Knifton L, Inglis G, 2020)  esamina la relazione tra povertà e problemi di salute mentale, a partire dall’esperienza di Glasgow, che contiene alcune delle aree dell’Europa occidentale con la maggiore concentrazione di povertà e i peggiori esiti di salute, evidenziando che i problemi di salute mentale sono direttamente collegati alla povertà, che a sua volta è alla base di disuguaglianze sanitarie più ampie. La salute mentale degli individui è determinata dalle condizioni sociali, ambientali ed economiche in cui nascono, crescono, lavorano e invecchiano. La povertà e le deprivazioni sono fattori determinanti dello sviluppo sociale e comportamentale dei bambini e della salute mentale degli adulti. Nello studio scozzese, gli individui che vivono nelle aree più povere riportano livelli più elevati di malattie mentali e livelli inferiori di benessere rispetto a quelli che vivono nelle aree più ricche. In Scozia esiste anche una chiara relazione tra aree di deprivazione e suicidio, con una probabilità tre volte maggiore per i residenti nelle aree più degradate rispetto alle zone meno svantaggiate. I risultati dello studio riflettono un modello più ampio di disuguaglianze socio-economiche nella salute osservato a livello internazionale: le cause principali di queste disuguaglianze sono le differenze strutturali nell’accesso dei gruppi con svantaggio socioeconomico alle risorse economiche, sociali e politiche, che a loro volta influiscono sulla salute attraverso una serie di fattori più immediati, quali i processi ambientali, psicologici e comportamentali (un’ampia gamma di fattori di rischio sono infatti più diffusi tra i gruppi a basso reddito, ad esempio comportamenti non salutari come il fumo e bassi livelli di attività fisica).

 

 

Italia: gruppi di popolazione/territori maggiormente a rischio

In Italia, le fasce più povere della popolazione sono le categorie più a rischio di sviluppare un disagio psicologico, insieme agli anziani e alle donne: la depressione è il disturbo prevalente, che colpisce (nelle sue varie forme) quasi tre milioni di persone. E la distribuzione nella popolazione non è casuale: secondo le statistiche riportate nel dossier dell’Osservatorio nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane del 2019, i disturbi depressivi sono più diffusi nel Centro e nel Sud, in particolare in Umbria (9,5%) e Sardegna (7,3%), con percentuali significativamente superiori a quelle del Trentino-Alto Adige (2,8%) e della Lombardia (4,3%). (Fonte: Indagine Istat – EHIS European Health Interview Survey. Anno 2018)

I divari territoriali osservati permangono anche a parità di livello di istruzione e condizione economica, a conferma dello svantaggio delle regioni del Centro-Sud ed Isole rispetto alle aree del Nord, con un conseguente peggioramento della qualità della vita per chi vi risiede.

Sempre dal dossier si evince chiaramente che la depressione ha una significativa connotazione sociale: tra coloro che hanno più di 35 anni e un basso livello di istruzione la prevalenza di questi disturbi è quasi il doppio di quella osservata tra i coetanei con titoli di studio elevato (attestandosi, rispettivamente, al 3,4% vs 7,5% per gli adulti della fascia di età 35-64 anni e al 6,3% vs 16,6% tra gli anziani). Questi divari sono significativi anche rispetto alle condizioni economiche, visto che la i disturbi depressivi prevalgono tra i soggetti adulti con redditi più bassi rispetto ai coetanei con redditi più elevati, mentre il gap si attenua leggermente nelle fasce di popolazione anziana.

L’ultimo Rapporto ISTAT Benessere Equo e Sostenibile (BES) del 2022, evidenzia – come già nelle scorse edizioni: l’elevata diseguaglianza tra le regioni italiane, in particolare per alcuni ambiti tra cui il benessere economico (la maggior parte degli indicatori nei livelli basso e medio-basso per il Sud e per le Isole, rispettivamente 62,0% e 58,1%, mentre nel Nord-est il 60,5% degli indicatori ricade nei gruppi di livello di benessere medio-alto e alto); e la maggiore vulnerabilità delle donne rispetto agli uomini su vari ambiti, quali quello della salute, e vari indicatori, tra cui benessere economico e benessere soggettivo. Secondo i dati ISTAT, nel 2021 in Italia 1,4 milioni di bambini e ragazzi vivevano in povertà assoluta: si tratta della classe di età in cui l’incidenza è più alta (il 14,2% contro una media nazionale al 9,4%). Le famiglie con minorenni in povertà assoluta sono quasi 762mila. L’incidenza della povertà cresce con: l’aumentare del numero di figli; tra le famiglie mono-genitoriali con figli minorenni; dove la persona di riferimento è in cerca di occupazione; quando la famiglia è composta solo da persone immigrate; nelle aree metropolitane.

Particolarmente a rischio il benessere psico-fisico infantile: la 13esima edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia 2022 di Save the Children fotografa lo stato di salute delle bambine e dei bambini, con un focus sulle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali e i loro effetti sulla salute, partendo dalla nascita fino all’adolescenza (da 0 a 2 anni, da 3 a 10 e da 11 a 18). I dati dell’Atlante evidenziano l’impatto della pandemia di covid-19 sulla salute infantile, e la necessità di mettere la salute delle bambine e dei bambini al centro di tutte le scelte politiche, dalla tutela dell’ambiente urbano alle mense scolastiche, fino agli spazi per lo sport e il movimento, con una particolare attenzione al tema della salute mentale degli adolescenti, fortemente colpiti dalla pandemia.

 

 

Combattere la povertà per proteggere la salute mentale

Una revisione sistematica e metanalisi della letteratura scientifica dell’Università di Glasgow (Thomson et al, 2022), pubblicata su The Lancet, ha approfondito l’impatto dei cambiamenti del reddito sulla salute mentale di adulti in età lavorativa: ad aumenti del reddito corrispondeva un miglioramento nelle misure di salute mentale / benessere, con effetti fino a 13 volte superiori laddove tali aumenti aiutavano le persone a tirarsi fuori da situazioni di povertà; invece, perdita o diminuzione del reddito comportavano un peggioramento della salute mentale in misura maggiore rispetto all’impatto positivo di un reddito aumentato.

La revisione ha anche confrontato le dimensioni di tali effetti con i trattamenti farmacologici e psicoterapeutici, dimostrando che “gli interventi basati sul reddito che spostano le persone al di sopra della soglia di povertà potrebbero avere circa la metà dell’efficacia degli antidepressivi e un quarto dell’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nel migliorare la salute mentale”: in pratica, intervento terapeutico e programma politico vengono equiparati!

Un commento alla revisione a cura di Tiziana Metitieri, neuropsicologa all’Ospedale Meyer di Firenze, amplia lo sguardo citando shock socio-economici di portata macro dovuti a fenomeni quali la pandemia, l’aumento dei prezzi, la crisi , eventi meteorologici estremi, etc. “che espongono una parte della popolazione a conseguenze gravi sulla salute mentale”… , i cui effetti dopo gli adulti riguarderanno anche i minori, a cascata, …”alimentando una spirale di povertà, esclusione e disagio mentale, che ridurrà ulteriormente le possibilità di accesso a un buon livello di istruzione e di opportunità per il presente e per il futuro; […] a lungo andare il disagio di alcuni diventerà un disagio per l’intera società

Viene confermato perciò il potenziale impatto positivo degli interventi di contrasto della povertà e di supporto / aumento del reddito sulla salute mentale della popolazione, in termini di riduzione dei sintomi ansioso-depressivi e della probabilità di esordio di disturbi mentali.

Durante una Lecture  alla Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica di Roma, il 24 gennaio 2017, Sir M. Marmot ha ancora una volta sottolineato l’importanza di un approccio life course e di “salute globale”: l ’attenzione deve andare ai determinanti sociali di salute, e tutti sono chiamati a contribuire per ridurre le disuguaglianze di salute: dai capi di governo e amministratori delle città a insegnanti, educatori, professionisti, e comuni cittadini, chiunque può avere un ruolo attivo nel promuovere la salute all’interno dell’ambiente lavorativo, nei gruppi professionali, nella comunità. Le azioni suggerite derivano da scelte politiche non scontate, nel campo dell’istruzione/educazione (tutti i bambini, a qualsiasi livello socio-economico appartengano, hanno il diritto a iniziare il proprio percorso di vita avendo a disposizione un’istruzione di “buona qualità” fin dalla scuola materna) e dell’occupazione (condizioni di lavoro favorevoli, reddito minimo per garantire una vita sana).

 

 

Raccomandazioni politiche

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivolto da tempo ai governi un appello all’azione sui determinanti sociali della salute, per affrontare le disuguaglianze generali di salute. A partire da queste, dal lavoro concettuale di M. Marmot e dall’approccio dell’economista e filosofo indiano Amartya Sen sulla responsabilità dell’intera società nell’assicurare la realizzazione di ciascun individuo, alcuni ricercatori hanno elaborato delle strategie specifiche per promuovere e proteggere la salute mentale e ridurre la povertà:

  • Programmi mirati per gruppi con un basso status socioeconomico, comprese le persone senza fissa dimora con malattie mentali. Una ricerca (Schreiter S, Bermpohl F, et al., 2020) ha dimostrato che a Berlino, in Germania, circa il 10,1% di tutti i pazienti psichiatrici non ha un conto bancario, e ciò limita gravemente l’accesso agli aiuti sociali e l’utilizzo dei servizi. Le strategie di “edilizia solidale permanente” come l’Housing First si sono dimostrate efficaci sulla stabilità abitativa e sugli esiti di salute. Altri esempi di programmi mirati potrebbero essere i programmi nutrizionali per donne o giovani madri, poiché la malnutrizione materno-infantile è uno dei principali fattori di rischio per gli anni di vita vissuti con una qualche disabilità.
  • Politiche per colmare il divario delle disuguaglianze sociali. Scienziati di diverse discipline dovrebbero cooperare per valutare l’impatto della povertà sulla salute mentale generale di una comunità e per districare le complesse interazioni a livello di comunità, ambienti e individui, poiché l’impatto della povertà locale va al di là del reddito individuale. Tra i programmi contro la povertà, uno studio (Bidadanure JU, 2019) valutato gli effetti dell’erogazione del reddito di base universale (UBI) in Finlandia, rilevando miglioramenti significativi nel benessere mentale dei beneficiari: i fattori di mediazione erano associati a una riduzione dello stigma percepito, a più tempo con la famiglia e gli amici e a un nuovo senso di speranza per il futuro. È stato inoltre rilevato che i miglioramenti per i bambini venivano amplificati quanto più i pagamenti venivano erogati precocemente durante la fase evolutiva. Tuttavia, vanno considerate alcune criticità: il rischio che il reddito di base possa essere discriminatorio nei confronti di persone con bisogni diversi e quindi con necessità di spese maggiori (ad esempio per le persone con malattie croniche e spese sanitarie elevate); il rischio che il reddito di base possa essere offerto solo a persone con una certa cittadinanza, escludendo ad esempio le persone già emarginate poiché prive di cittadinanza.
  • Promuovere la ricerca interdisciplinare e partecipativa sulle interazioni sociali all’interno delle società. A livello di quartiere, la solidarietà e il sostegno reciproco sembrano rappresentare importanti mediatori tra la povertà del quartiere e la salute mentale individuale. Ma ad oggi, la ricerca partecipativa e il coinvolgimento dei pari sono ampiamente sottorappresentati e dovrebbero svolgere un ruolo molto più influente negli studi scientifici e nelle politiche per la salute mentale. E’ necessario perciò uno sforzo inter e transdisciplinare che includa le scienze sociali per districare questi processi e le loro complesse interazioni, integrando la salute mentale in tutti gli aspetti della pianificazione urbana, compresa l’esposizione all’inquinamento atmosferico e al rumore del traffico (anche notturno), la presenza / fruizione di spazi verdi, di centri comunitari accessibili e spazi per l’interazione sociale.

 

 

Conclusioni

Alla luce degli effetti della disuguaglianza di reddito sulla salute mentale, la crescita economica di per sé non porterà ad un aumento del benessere mentale, e le politiche dovrebbero perciò prendere in considerazione una distribuzione equilibrata della ricchezza. Inoltre, un maggiore investimento sulla ricerca per comprendere a fondo i meccanismi sottostanti alla relazione causale povertà – salute mentale potrebbe aiutare a progettare programmi politici veramente efficaci.

Come abbiamo visto, esistono già una serie di indicazioni per i governi e per le prassi dei servizi: tra queste, alcune raccomandazioni riguardano specificamente la fascia infanzia e adolescenza, formulate dal Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, una vasta rete di soggetti del Terzo Settore italiano che si occupano attivamente della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, coordinato da Save the Children Italia, che ha prodotto il documento “Agenda per l’infanzia e l’adolescenza: 10 passi per rendere concreto l’impegno verso le nuove generazioni”: l’Agenda evidenzia i tre fenomeni che richiedono un’attenzione immediata, tra cui la povertà minorile (le persone più povere in Italia sono i bambini e i ragazzi), e si rivolge al nuovo Governo e al Parlamento suggerendo l’implementazione urgente del Piano di azione nazionale per la Garanzia Infanzia che prevede misure specifiche per il supporto di soggetti a maggior rischio di povertà ed esclusione sociale.

Richard Horton, il caporedattore di The Lancet, concludeva il suo Editoriale del luglio 2019 con queste parole: “La povertà non è uno stato economico. È una malattia che insidia l’anima.  La povertà consuma le vite, erode le risorse mentali, limita le capacità cognitive e distrugge le prospettive di vita. La salute universale non sarà mai perseguibile finché la povertà non sarà sradicata”.

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