Premessa. Ancora Connessioni
Connessioni è stato realizzato da Dors per i suoi 25 anni di attività invitando cento professionisti di settori diversi a confrontarsi su:
• presente e il futuro della promozione della salute
• contrasto delle disuguaglianze attraverso le politiche
• interventi che tendano all’inclusione e all’equità.
L’approccio della salute globale e dell’inclusione sono stati i due poli concettuali che hanno guidato il confronto creativo e generativo.
Gli strumenti a disposizione sono stati invece:
• le conoscenze aggiornate e robuste su tre temi oggi molto sfidanti – ambiente, cultura e linguaggi – condivise da ricercatori universitari impegnati in questi ambiti
• i saperi e le esperienze portati dai professionisti
• le tecniche della danza e del teatro come motore – accogliente – del mettersi in gioco e in ascolto dell’altro.
Il risultato più evidente di Connessioni – che Dors vuole mettere in circolo, richiamare, alimentare – è la ricchezza di dati qualitativi descritti come interventi prioritari su ambiente, cultura, linguaggi, salute globale e inclusione.
Come Centro di Documentazione, crediamo che questi dati possano trovare un terreno fertile per svilupparsi nelle programmazioni nazionali e locali incentrate sulla promozione della salute, il benessere, la qualità della vita.
Con questo articolo, condividiamo con Donata Columbro due delle dieci priorità su linguaggi inclusivi in promozione della salute individuate a Connessioni:
• è fondamentale avviare processi di co-costruzione di linguaggi con i destinatari affinché la comunicazione sia realmente partecipata, inclusiva e non stereotipata
• gli interventi di comunicazione hanno bisogno di competenze progettuali e di conduzione innovative, a forte impatto sociale e che si avvalgono di approcci transdiscliplinari, interprofessionali e multidimensionali degli strumenti di informazione e partecipazione.
Introduzione. Donata Columbro e il suo impegno per umanizzare i dati
Siamo molto felici di ritrovare Donata Columbro che ringraziamo per l’intervista, rilasciata a Dors, sul suo ultimo libro – Perché contare i femminicidi è un atto politico – uscito a settembre 2025.
Donata Columbro è giornalista, divulgatrice, docente universitaria, formatrice e, non per ultimo, scrittrice. Per il suo approccio accessibile e inclusivo nel divulgare la cultura dei dati è stata definita una “data humanizer”. La sua passione e il suo impegno per umanizzare numeri e tabelle caratterizza da sempre il suo lavoro e traspare forte nella sua pubblicazione dedicata a un dato di realtà – i femminicidi – purtroppo sempre più frequenti.
Contare i dati di femminicidio è un atto politico. Dors intervista Donata Columbro
Donata, leggere il tuo ultimo lavoro ha fatto emergere in noi un turbine di emozioni che sapevamo di provare verso la costante, gratuita, irrazionale violenza sulle donne. Ora queste nostre emozioni, grazie a te, sono affiancate da domande precise che tu hai formulato con profondità e basandoti sullo studio di ricerche e buone prassi a cui hai dato il giusto valore.
Partiamo dall’inizio: cos’è il data feminism?
Il data feminism è un approccio che nasce dall’incontro tra la scienza dei dati e il pensiero femminista. La sua intuizione di base è che i dati non sono mai soltanto numeri: sono il risultato di decisioni umane. Ogni volta che raccogliamo, selezioniamo, classifichiamo o visualizziamo dati, stiamo anche stabilendo cosa riteniamo importante, cosa merita visibilità, quali fenomeni consideriamo degni di analisi e quali lasciamo invece nell’ombra. Il femminismo dei dati ci invita a guardare dentro queste scelte, a chiederci quali strutture di potere sono riflesse nei dataset che abbiamo e, soprattutto, in quelli che non abbiamo. E ci ricorda che la neutralità non esiste: non esiste nella statistica, non esiste nei sistemi informativi, non esiste nel linguaggio con cui i dati vengono presentati. In questo senso, fare data feminism significa usare i dati come strumento di giustizia sociale, non di semplificazione. È un invito a mettere al centro chi normalmente resta ai margini della produzione dei dati. E nel mio lavoro sui femminicidi vuol dire partire da una constatazione semplice ma fondamentale: l’assenza di dati ha già di per sé un significato politico molto chiaro.
In Italia, quali sono i sistemi informativi attuali da cui estrarre dati sui femminicidi?
Il quadro italiano è frammentato. Esistono diversi sistemi informativi che offrono pezzi della realtà, ma non ancora un sistema integrato, come invece prevede la legge 53/2022. Abbiamo i dati dell’Istat, che raccoglie informazioni sulla violenza contro le donne allo scopo di produrre statistiche nazionali e, dal 2023, i dati annuali dei centri antiviolenza. Abbiamo i dati trimestrali del Ministero dell’Interno sugli omicidi volontari con vittime donne, anche se questi report evitano deliberatamente di usare la parola “femminicidio”. Poi ci sono i dati relativi al 1522, o i dati amministrativi delle denunce. Il problema è che questi sistemi raramente parlano tra loro. E proprio qui si vede la necessità della legge 53: senza interoperabilità, otteniamo fotografie parziali che non consentono né la prevenzione né il monitoraggio del rischio. È per questo che l’attivismo produce contro-dati: perché i sistemi informativi istituzionali, da soli, non restituiscono l’intero fenomeno.
Nel tuo libro ritroviamo una ricca selezione di studi internazionali e nazionali fatti da ricercatrici universitarie sulla definizione di femminicidio: ti chiedi quanto questo termine sia coerente con i fatti che così chiamiamo.
Ad esempio, riporti le parole della sociolinguista Vera Gheno che in Grammamanti scrive: “Non si nomina ciò che non si considera importante,” … “inoltre, non si nomina ciò che si teme, perché nominare le cose contribuisce a renderle familiari, ma anche più reali”.
Perché queste parole valgono anche per la definizione di femminicidio?
La storia della parola femminicidio in Italia lo dimostra in modo molto chiaro. Per decenni abbiamo chiamato l’uccisione di una donna da parte di un uomo “omicidio”, oppure, se era il marito a uccidere la moglie, “uxoricidio”, un termine che affonda le sue radici nel delitto d’onore. Il femminicidio è entrato tardi nel dibattito pubblico, e ancora più tardi nei documenti istituzionali. Quando un’istituzione rifiuta una parola, come fa il Ministero dell’Interno dicendo che “si presta a interpretazioni”, sta facendo una scelta politica: sta dicendo che non vuole riconoscere che l’omicidio di una donna da parte di un uomo non è un fatto individuale, ma un fenomeno strutturale radicato nella disparità di genere. Nominare il femminicidio significa riconoscere la sua matrice di potere. Significa uscire dalla narrazione del “raptus”, dell’amore degenerato, della tragedia familiare. Significa, soprattutto, assumersi la responsabilità di misurare il fenomeno secondo criteri coerenti. Se non nomini il fenomeno, non puoi contarlo. E se non lo conti, non puoi intervenire.
Mentre la lettura procede, le pagine profumano di determinazione, coraggio, speranza. È il lavoro costante, accurato dei professionisti che lavorano nei centri antiviolenza, nelle associazioni e che tu, Donata, hai incontrato e hai valorizzato.
Sono diverse le persone che contribuiscono volontariamente a contare i femminicidi con cura, recuperano la storia di ogni donna, rintracciano elementi in comune con altre donne uccise, e mettono insieme queste informazioni per elencare quelli che si chiamano fattori di rischio: se oggi il numero delle donne uccise è circa cento ogni anno, contare i femminicidi dovrebbe aiutarci ad arrivare a zero.
Per costruire azioni protettive verso le donne, come mettere in rete questi lavori preziosi? Le persone che li portano avanti come possono lavorare in sinergia?
Esistono osservatori come la Casa delle donne di Bologna, la rete Non Una Di Meno, gruppi territoriali, giornaliste di cronaca, attiviste che mantengono elenchi, mappe, calendari della memoria. Lo fanno non solo per restituire un nome e una storia, ma per individuare i pattern ricorrenti: la relazione di intimità, le denunce precedenti, la violenza economica, il controllo ossessivo, la precarietà abitativa, il momento della separazione come fase di massimo rischio. Gli osservatori dal basso hanno una conoscenza qualitativa dei casi che nessun dataset statistico può sostituire, perché permettono di vedere la continuità della violenza prima dell’omicidio.
La rete la stiamo costruendo per esempio con la campagna Dati Bene Comune, che mette insieme diverse associazioni che si occupano di violenza di genere ma anche di dati, serve anche a questo, a chiedere insieme che i dati istituzionali vengano prodotti e pubblicati in modo più efficace.
Un’ultima domanda per rendere i linguaggi inclusivi. Nel nostro sito Dors abbiamo una sezione tematica dedicata alla violenza di genere.
Hai dei suggerimenti da darci su come, con quale linguaggio e con quali documentazione dovremmo per contribuire alla prevenzione di questi fenomeni? Ad esempio utilizzare il termine oppressa invece che vittima, come sostiene la giurista Tamar Pitch
Per parlare davvero di prevenzione dovremmo spostare lo sguardo. Non basta dire “la donna è vittima di violenza”, bisogna dire “l’uomo agisce violenza”. È un cambiamento piccolo nella forma ma enorme nella sostanza, perché restituisce la responsabilità a chi la detiene. Il linguaggio passivizzante – “è morta”, “è stata trovata” – non solo rimuove l’autore, ma rende la violenza un fatto naturale, quasi meteorologico, come se accadesse da sola. Invece la violenza maschile non è un destino, una fatalità, un raptus. È un comportamento agito. Quando nei documenti o negli articoli non compaiono gli uomini ma solo le donne, si costruisce una rappresentazione distorta in cui la violenza è un problema delle donne, non un problema degli uomini che la esercitano. La prevenzione, per essere efficace, deve nominare questa asimmetria: deve parlare del potere, non solo della vulnerabilità.
Bibliografia
Columbro D. Perché contare i femminicidi è un atto politico. Feltrinelli Editore, settembre 2025.
Per gentile concessione dell’autrice, una copia del libro è disponibile presso la Biblioteca SEPI-DORS.
Donata Columbro scrive:
• Ti spiego il dato – la sua newsletter https://www.tispiegoildato.it/
• Una rubrica settimanale su SkyInsider: https://tg24.sky.it/autore/donata-columbro
• Numeri su Internazionale.it – https://www.internazionale.it/tag/autori/donata-columbro
Foto articolo di Amie Roussel su Unsplash