Umanizzazione delle cure: un rito Laico per onorare i morti del periodo Covid-19
a cura di Pino Fiumanò, Gruppo SaluteArte dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino

 

 

Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

La vita non è uno scherzo – Nazim Hikmet (1902-1963)

 

(al fondo sono disponibili il video integrale e la poesia)

 

Il 2 luglio 2020 ci siamo ritrovati sotto un cielo grigio che minacciava pioggia e grandine. Eravamo più di 250 nel giardino dell’ospedale. Chi aveva perso un proprio caro, un amico, una madre, un padre, un figlio o una figlia e chi lo aveva accompagnato fino alla fine. Era la prima volta che i familiari incontravano il personale sanitario. Ci si è potuti ri-conoscere, salutare, si è potuto condividere pensieri, emozioni, esperienze, azioni concrete. Si sono incontrate due fragilità: quella di chi è chiamato a curare, ad alleviare il dolore, la sofferenza e la morte e quella di chi è stato obbligato ad una distanza straziante per non aver potuto accompagnare i propri cari per l’ultima volta.

Ci siamo ri-trovati tutti insieme per compiere un Rito, la cui azione centrale, dall’alto valore simbolico, è stata quella di piantare un Ulivo.

 

Un Rito Laico che nasce dall’ascolto: l’Ulivo e il Giardino

L’idea del Rito Laico nasce dall’ascolto di un bisogno che è emerso, attorno a noi, con grande forza fin da subito nel mese di marzo 2020: l’impossibilità a poter celebrare il funerale nell’emergenza della pandemia.  Di fronte a questa sofferenza ci siamo semplicemente domandati: cosa possiamo fare per porre rimedio?

Il piantare un Ulivo ha aperto alla possibilità, altrimenti negata, di ri-significare, in termini concreti, umani e simbolici un grande dolore. Prima azione “rituale” la convocazione e la condivisione dell’idea con tutte le famiglie delle persone decedute, nel nostro ospedale, fra metà marzo e metà maggio.

L’ideazione, la progettazione e la realizzazione dell’evento trasformativo rituale ha visto in azione molte competenze “teatrali” e drammaturgiche all’interno di una metodologia specifica, quella di Teatro Sociale e di Comunità. Per citarne alcune fra le più significative: il sapere antico che il Teatro ha sulla costruzione della scena, l’uso dello spazio, le azioni degli attori (ai sanitari è stato chiesto di sistemare la terra attorno alle radici dell’Ulivo e ai familiari di bagnare quella stessa terra per renderla fertile). Due azioni, queste, necessarie e indispensabili all’efficacia trasformativa del Rito. L’uso consapevole dei simboli (la Terra e l’Acqua). La scelta stessa di un giardino, come luogo e spazio del Rito, non è stata casuale o occasionale, ma scelta che rimanda a significati condivisi e condivisibili da tutti i presenti e ad un immaginario immediatamente riconoscibile: il giardino, un luogo curato e di cui prendersi cura. Così per i brani musicali che hanno accompagnato lo svolgersi delle diverse azioni rituali. Non da ultimo la competenza nel saper convocare la comunità e la scelta partecipativa della performance che ha chiamato i presenti ad essere “attori” protagonisti e co-autori del Rito. La scelta dell’Ulivo non è stata casuale ma, ancora una volta, scelta drammaturgica precisa, portatrice di molteplici significati. L’Ulivo è una pianta longeva, sopravviverà a tutti i presenti al rito, è una pianta resistente/resiliente alle avversità e alle intemperie, sempreverde, capace di generare frutti che sono un alimento e dai quali si ricava un elemento centrale nella nostra dieta: l’olio.

 

Il teatro come ritualità partecipata e performativa

Il percorso progettuale, che ha portato al Rito Laico, è stato un processo partecipato dai sanitari e dai familiari e prende le mosse da una consapevolezza che ci appartiene: il teatro nasce, dai tempi più remoti, dal rito come istanza dell’umano a cui non possiamo sottrarci. L’arte ha un ruolo strategico nella promozione del ben-essere e della salute ed esiste un legame, molto stretto, fra partecipazione culturale, processi artistici partecipati, ben-essere e salute (OMS, 2019)

Il Gruppo SaluteArte lavora per progetti utilizzando la metodologia di Teatro Sociale e di Comunità quale “dispositivo culturale ed artistico molto complesso che mostra una particolare efficacia sul piano dell’androgogia e della cura, nella produzione di capitale sociale e capitale culturale e, come mostrano diverse esperienze anche in contesti ospedalieri e territoriali, nella produzione di salute di comunità”. (Ghiglione A.R., Teatro e Salute, la scena della cura, 2011).
Il teatro sociale contatta e mette in movimento e in connessione reciproca diversi livelli dell’umano: il corpo e la relazione, la rappresentazione simbolica e la ritualità performativa attraverso cui si produce una nuova comprensione di sé e dell’altro da sè.

L’attività principale del gruppo SaluteArte è quella di progettare interventi, che a partire da una condizione umana condivisa, col gruppo e con la comunità, si propongono, attraverso processi artistici compartecipati, il cambiamento nei termini di empowerment, ben-essere e promozione della salute dei singoli, dei gruppi e delle comunità.

 

Le narrazioni dei famigliari e degli operatori

Tutto questo nel Rito Laico mauriziano si è concretizzato in una prima fase di mappatura che ha coinvolto in prima persona direttamente le famiglie dei nostri defunti nel periodo Covid e la comunità dei sanitari che li hanno assistiti. Abbiamo sentito le loro storie e i loro vissuti e insieme condiviso, come sopra accennato, l’idea e l’opportunità di un’azione rituale. Abbiamo raccolto dai familiari e dai curanti le loro narrazioni in forma scritta, narrazioni che successivamente sono state oggetto di una attenta ri-elaborazione drammaturgica. L’obiettivo era la composizione di due testi da leggere all’interno del Rito Laico quale momento significativo di condivisione, nei quali i partecipanti potessero conoscersi e ri-conoscersi reciprocamente. La condivisione pubblica delle narrazioni dei familiari “donate” ai sanitari e viceversa, ha permesso un movimento di connessione e di comprensione empatica di due dolori grandi che per la prima volta si incontravano in un giardino.

Quale atto dovuto di restituzione al “dono” ricevuto delle narrazioni, nasce l’idea di un progetto editoriale, tuttora in corso, che raccoglie tutte le storie e le esperienze per farne memoria condivisa e condivisibile con la comunità allargata. Questo movimento di reciprocità fa riferimento ad un altro elemento metodologico proprio del teatro sociale e di comunità, quello della legge del Dono–Controdono–Contraccambio, capace di costruire capitale sociale, culturale, legami e senso di appartenenza ad una comunità.

La progettazione ha coinvolto, oltre a professionalità specifiche nel campo del teatro sociale e di comunità, anche altre competenze e professionalità specifiche come quelle dell’antropologo Marco Aime dell’Università di Genova, esperto di riti, di Valter Boero della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino (Collegno), che ci ha donato la pianta di Ulivo, oltre a professionalità interne come le Psicologhe dell’ospedale. Questo in un’ottica di lavoro interdisciplinare capace di aprirsi alla feconda integrazione di saperi e competenze diverse all’interno di un progetto artistico/performativo.

Per questo il teatro sociale e di comunità pensiamo sia quella forma di teatro consapevole e necessaria orientata al benessere delle persone, dei gruppi e delle comunità capace di alimentare processi di guarigione profonda dell’umano che non riguardano solo la malattia, ma quella ricerca del buon vivere come autentica antropologia ecologica della felicità.

  • www.salutearte.it
  • Pino Fiumanò CPSI
  • Master Teatro Sociale e di Comunità
  • U.R.P. A.O. Ordine Mauriziano
  • 3493008070 - e-mail: pinofium8b6@msn.com

 

I video:

 

La poesia

 

Altre esperienze progettuali del Gruppo SaluteArte

 

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