BIEN-ÊTRE Benessere Teatro e Resilienza: un workshop con approccio innovativo
a cura di Alessandra Rossi Ghiglione, Silvia Cerrone, SCT Centre | Unito e Claudio Tortone, DoRS

IL LABORATORIO

Il laboratorio propone un’attività pratica-esperienziale con un approccio innovativo che integra principi e tecniche del metodo Feldenkrais con quelle del Teatro Sociale e di Comunità. Il Workshop è aperto a professionisti che lavorano in ambito socio-sanitario con differenti profili (infermieri, medici, psicologi, educatori, fisioterapisti, referenti amministrativi, ecc) e in quello artistico-teatrale.

Ogni sessione di lavoro (circa mezza giornata) sarà articolata in due fasi, partendo dalla sperimentazione del metodo Feldenkrais, si passerà ad una fase creativa-immaginativa che sarà guidata dall’esplorazione dei processi di resilienza e di capacità di coping, attraverso tecniche proprie del Teatro Sociale e di Comunità. Gli obiettivi di lavoro attraverso il metodo Feldenkrais vertono verso una maggiore percezione di sé, un aumento della consapevolezza corporea e l’acquisizione di tecniche per diminuire la fatica e canalizzare le energie muovendo il corpo in modo efficace ed ergonomico. Utilizzare la metodologia di Teatro Sociale e di Comunità nella seconda fase, si inserisce invece, nella possibilità di scoprire e riscoprire aspetti di sé nuovi, trovare modalità differenti (creative) per affrontare situazioni e contesti, lavorare sulla consapevolezza dei propri punti di forza e di fragilità, riconoscere la pluralità di sguardi su una situazione e valutarla come risorsa, migliorare la propria capacità di lavorare in un assetto gruppale e di équipe di lavoro.

Il Workshop Bien-êTRe – Benessere, Teatro e Resilienza è rivolto in particolare a persone che non hanno mai sperimentato questo approccio e si terrà nelle giornate di sabato 16 aprile e domenica 17 aprile ore 10.00-17.30 presso l’Istituto Rosmini, Aule 18-19, Via Antonio Rosmini 4/A a Torino. Sono previsti 19 crediti ECM per le professioni sanitarie. Il costo è di 90 euro. Informazioni e iscrizioni (allegato modulo iscrizioni): http://www.socialcommunitytheatre.com/it/eventi/bien-etre-benessere-teatro-resilienza/5940/ e sulla piattaforma ECM della Regione Piemonte.

Il 24-25-26 giugno si terrà invece un workshop intensivo che sarà una prima tappa del percorso di formazione dei formatori che si svilupperà nel 2016-2017. Questo nuovo percorso nasce dalla collaborazione instaurata in questi anni tra il Social Community Treatre Centre SCT Centre dell’Università di Torino e il Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute DoRS Regione Piemonte – ASL TO3. Nelle prossime settimane avrete notizie tramite i due siti.

A seguire i risultati del progetto di ricerca Co-Health e le ragioni che hanno indirizzato verso questo nuovo percorso a partire dal modello Bien-êTRe.

UN APPROFONDIMENTO SUL MODELLO BIEN-ÊTRE

La relazione tra cultura, arte e salute

Il modello proposto nasce dalla sperimentazione svolta nell’ambito del progetto di ricerca biennale Co-Health, cofinanziato da Fondazione CRT e promosso dall’Università di Torino con una rete di partner, e conclusosi con un convegno internazionale il 12-13 novembre 2015. Il convegno ha visto la presenza di contributi nazionali sui temi legati all’arte e salute, tra cui la relazione di Enzo Grossi  (E. Grossi, A. Ravagnan, 2013), dell’università IULM di Milano, il quale afferma che “l’attività culturale assume invece tutt’altra valenza dimostrandosi un toccasana in grado di prevenire malattie croniche anche gravi, assicurare una maggiore longevità e attenuare gli effetti negativi dello stress cronico sullo stato generale di salute, qui letto e  interpretato con un concetto olistico in linea con la  nuova interpretazione OMS sulla salute socialmente determinata”. Numerosi esempi virtuosi di connessione tra il mondo della sanità e le arti si osservano nel panorama europeo. Al convegno il contributo di Suzy Willson della compagnia teatrale Clod Ensemble che tramite un workshop condotto con tecniche attive ha fatto sperimentare le tecniche teatrali che utilizza nella formazione con studenti della scuola di Medicina e con professionisti che lavorano negli ospedali londinesi. In questa cornice alcuni membri del Comitato Scientifico del progetto hanno presentato i risultati della ricerca svolta e il nuovo modello sperimentale Bien-êTRe (www.cohealth.it) .

 

Le ipotesi del progetto di ricerca Co-Health

L’ipotesi di ricerca risponde all’obiettivo di pensare la formazione per professionisti della cura a partire da una rigenerazione personale propedeutica a una capacitazione professionale, con un impatto successivo naturale nella relazione di cura e nel lavoro di team interprofessionale. Il benessere si riferisce qui a elementi di ordine fisico quali astenia, sonno – misurati durante la valutazione del progetto di ricerca dal monitoraggio pre e post con scale validate-, ma anche elementi di ordine psicologico, rilevati in itinere con un approccio qualitativo attraverso stimoli narrativi aperti. La scelta del Feldenkrais risponde alla valenza specifica di questo metodo somatico di consapevolezza attraverso il movimento, che utilizza sequenze strutturate di movimento per produrre sviluppo di consapevolezza corporea e cinestetica, riorganizzazione scheletrico muscolare con effetti posturali e di fluidità del movimento e connesso aumento delle capacità di apprendimento e della disponibilità al cambiamento. Tra gli elementi specifici del Feldenkrais utili al modello sperimentale:

  1. a) l’assenza di valutazione della performance del partecipante
  2. b) il principio della riduzione della fatica –una buona organizzazione motoria richiede minor sforzo-
  3. c) il riconoscimento delle abitudini come schemi di comportamento non spontaneo ma obbligato
  4. d) l’ascolto sensoriale accompagnato al movimento lento- diversamente da altre discipline il movimento viene eseguito non per ottenere una prestazione ma per ascoltare cosa accade nel proprio corpo e come il corpo si può riorganizzare per eseguirlo con più facilità comodità e infine piacere, arrivando anche a una qualità di tipo estetico.

Nel modello Bien-êTRe la proposta di attività prevede:

1) una fase di separazione dal contesto

2) la fase Feldenkrais con un primo lavoro di ascolto a terra delle sensazioni di contatto con il terreno, di orientamento nello spazio e del respiro, e poi la proposta di una sequenza struttura di movimento eseguita a terra su di un tema (es. la contrazione dei flessori)

3) una fase in piedi di incorporazione delle sensazioni fisiche prodotte dal Feldenkrais (sensazioni di radicamento, di leggerezza, di asimmetria, etc.)

4) una fase guidata di simbolizzazione teatrale individuale della sensazione corporea attraverso la scelta di metafore e simboli del mondo naturale (se fossi un elemento del mondo naturale, con questa sensazione corporea sarei..)

5) una fase di sintonizzazione simbolica gruppale attraverso un gioco collettivo di incontri e relazioni teatrali –talvolta anche mediate dall’uso di oggetto e/o suoni- di coppia e di piccolo gruppo orientato alla fiducia e alla scoperta della diversità (ti osservo, ti imito)

6) una fase di rappresentazione in cui a partire dalle forme individuali o dalle relazioni di coppia vengono costruite –con la tecnica dell’improvvisazione- rappresentazioni sceniche statiche e/o dinamiche con il contributo di tutti i partecipanti che hanno il compito di allargare e dilatare i significati che osservano sul palco

7) una fase finale di ascolto corporeo a terra e d’integrazione nelle sensazioni dei vissuti e della memoria delle forme agite e una conseguente fase di separazione con una parola da portare con sé fuori.

 

I risultati positivi ottenuti dal progetto Co-Health

I risultati positivi ottenuti dal progetto Co-Health e rilevati dalla valutazione quali-quantitativa, oltre che su dati fisici misurabili relativi al sonno, all’astenia e all’umore, insistono su 4 aspetti: corpo, gioco, gruppo e metafora. L’importanza che riveste la percezione del corpo –il sentirsi, la consapevolezza delle risorse e dei limiti del corpo, l’essere gentili con il proprio corpo- ha consistito nei partecipanti un passaggio dall’idea di “avere un corpo”, da una nozione utilitaristica della “macchina corpo” a quella liberatoria di un corpo vivente che veicola identità e immaginario, che agisce –che sente- è, contemporaneamente e con autenticità. Il gioco è lo spazio liberatorio, catartico, dove come individuo è possibile finalmente sottrarsi al giudizio e alle aspettative, sentirsi liberi di provare e sperimentare emozioni, di esprimerle e di fare come da bambini quando l’apprendimento era un processo nutrito di piacere, insieme fisico emotivo e cognitivo. Il gioco è anche lo spazio dove l’incontro con l’altro nel gruppo diventa più facile, dove attraverso la mediazione teatrale la sintonizzazione e l’identificazione sono ritrovate nella loro forza di bonding sociale primario. Infine la metafora e l’arte sono sentite dai partecipanti come uno scarto di visione e di comprensione, via per sviluppare un pensiero laterale, che nel gioco teatrale è potenziato dalla verità del qui ed ora del corpo dell’altro e che nel gruppo funziona anche come moltiplicatore delle verità sulla comune esperienza umana di curanti. Ne nascono così rivelazioni di senso che sono in parte spiegabili e misurabili dal discorso logico-razionale – come accade nei momenti di verbalizzazione guidata durante il percorso-, ma che perlopiù si depositano a un livello profondo e si manifestano in una diversa qualità di presenza al mondo, come un aumento di coscienza e di libertà che può esser portato poi nella vita e nella professione. Un sentimento di sé differente (consapevolezza corporea e delle proprie risorse, esserci e vedersi allo stesso tempo), un dinamismo (disponibilità al movimento fisico ma anche del punto di vista emozionale e cognitivo) e una vitalità differente (equilibrio tra sistema simpatico e parasimpatico), una disponibilità a manifestare in azioni il proprio mondo interiore, una ricerca della connessione e della risonanza con l’altro. Da questo auto cambiamento, in cui il teatro è maieutica più che didattica, ciascuno opera la propria trasformazione e pone le basi per essere e apprendere, per il proprio ben-essere e le proprie rel-azioni professionali (Ghiglione, 2015).

 

Le politiche europee e italiane sostengono un approccio con al centro la persona

Il modello Bien-êTre si inserisce quindi nell’idea soggetto attivo, ideativo e propositivo. Una centralità della persona che diviene valore guida per riorganizzare la relazione di cura e la stessa organizzazione dei servizi ospedalieri e delle cure primarie e per contrastare le diseguaglianze  attraverso politiche e azioni di prevenzione e promozione della salute. Questa è la sfida che i sistemi sanitari da un lato e i governi e le comunità locali dall’altro devono affrontare nel presente e nel prossimo futuro come indicato dal documento di policy Salute 2020.

La centralità della persona richiede di pensare e organizzare le cure affinché siano appropriate e “giuste” per ogni singola persona con la propria storia di vita, valorizzando anche le risorse nascoste, e che allo stesso tempo tengano conto delle migliori evidenze scientifiche disponibili. Questo presuppone che la storia formativa universitaria dei futuri professionisti e quella permanente degli operatori in servizi dovrebbero essere orientate non solo alle conoscenze e alle tecniche, ma dovrebbe essere essa stesse un’esperienza di benessere e salute. Il Workshop Bien-êTRe – Benessere, Teatro e Resilienza intende proporre proprio un modello in questa direzione. In un nostro recente articolo a commento di Salute 2020, Alessandro Rinaldi e Chiara Bodini, giovani colleghi ci dicevano “Secondo la nostra esperienza, di studenti prima e formatori poi, riteniamo che le principali lacune che abbiamo come professionisti della salute siano da ricondursi al modo con cui veniamo formati. Durante il normale percorso di studi ci vengono fornite informazioni, anzi nozioni, avulse dal contesto della medicina reale che inevitabilmente ha sempre più luogo nel territorio e fuori dall’ospedale. Molto spesso, sia durante che dopo gli studi, si avverte con disagio che tali nozioni risultano inutilizzabili e ci sentiamo impreparati per inserirsi utilmente in una comunità, di averne cura, di intenderne i problemi di malattia e difenderne il diritto alla salute. Ad essere sinceri, la realtà universitaria che viviamo è ancora ben lontana dai proclami scritti nei documenti ufficiali e nei programmi di studi. In questi ultimi anni siamo stati e siamo coinvolti direttamente all’interno di un processo di riflessione critica sul sapere medico e sulla formazione medica che prende il nome di “salute globale”. La “salute globale”, per come la intendiamo noi, propone il passaggio da una lettura della salute e della malattia di tipo bio-riduzionista ad una di tipo processuale, multidisciplinare e biopsicosociale, che collochi la persona e la comunità all’interno del contesto ecosociale nella quale vive. Per noi fare formazione in salute globale non vuol dire integrare i curricula universitari con tematiche specifiche, ma significa soprattutto introdurre un nuovo modo di pensare e agire la salute. Tale formazione vuole evidenziare come sia il metodo a dare significato e valore ai contenuti, attraverso un approccio partecipativo in grado di promuovere relazioni paritarie tra docente e discente e ponendo quest’ultimo al centro del processo formativo. Soprattutto in questo modo, e non solo con l’introduzione di altre nozioni, i futuri operatori della salute possono essere formati, secondo quanto dichiarato anche nel documento, per lavorare in équipe in maniera efficace, incoraggiare l’empowerment del paziente e della comunità, promuovendo l’autonomia nella cura.

Questa testimonianza evidenzia l’importanza di una formazione orientata alla persona nella sua interezza  e alle competenze relazionali, perché anche queste sono cura, come abbiamo avuto modo di apprendere nei due ultimi convegni nazionali della Società di Psico-Endocrino-Immnmologia (SIPEI). Questi due fattori sono costituenti sensibili, valoriali ed efficaci di una forza lavoro più flessibile, dotata di competenze multiple, orientata al lavoro di équipe attenta alle risorse del paziente e della sua rete sul versante della cura e alle risorse delle persone e delle comunità locali nel contrastare i fenomeni di diseguaglianza sul versante della promozione del benessere e della salute. Questo approccio salutogenico è il cuore di un sistema sanitario più equo e appropriato e di comunità locali attente alle ricadute delle politiche non-sanitarie sul benessere e la salute delle persone e della popolazione. Questo tipo d’investimenti permette di sostenere i fattori che promovono e sostengono la resilienza della singole persone e delle comunità, cioè la capacità di comprendere e affrontare i momenti di crisi con la possibilità di sortirne insieme. Si tratta in particolare di sperimentare nuovi modelli quali: cure erogate da équipe; nuove forme di erogazione dei servizi (comprese le cure domiciliari e quelle a lungo termine) centrate sulle competenze per incoraggiare l’empowerment del paziente e l’autonomia nella cura; politiche locali, sanitarie e di altri settori, maggiormente integrare e attente alle ricadute sulla salute e sulle diseguaglianze secondo l’orientamento europeo “Salute in Tutte le Politiche”.

Il Piano della Prevenzione, nazionale e regionali, sono strumenti di programmazione che accolgono e dibattono questi orientamenti e possono mettere in campo saperi ed esperienze per valorizzare buone pratiche e sperimentare nuovi modelli di intervento.

BIBLIOGRAFIA

  • Grossi, A. Ravagnan “Cultura e Salute. La partecipazione culturale come strumento per un nuovo welfare, Springer, 2013
  • Rossi Ghiglione “Arte, Benessere e Cura. La potenza del teatro.” In “Curare con arte, l’arte della cura. PNEIReview” 2015, n. 2, pgg. 38-47
  • Rossi Ghiglione, Teatro e Salute. La scena della cura in Piemonte, Ananke, Torino, 2011
  • Matricoli, I teatri di Igea, Italian University Press, Genova, 2010


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